Lunedì, 29 Maggio 2023 08:06

7. L’Eucaristia come sorgente di responsabilità di fronte alla crisi ecologica integrale

Olivier Ndondo, SSS. 
Roma, Italia, 2/11/2022. 

Testo originale in francese. 

Introduzione

L’attuale crisi ecologica integrale che si manifesta nell’ostilità della natura e nella recrudescenza dei poveri nel mondo costituisce senza alcun dubbio la “più grande sfida dell’umanità”[1], a causa della minaccia ch’essa costituisce per la vita e l’avvenire del pianeta Terra.

Se questo è il problema, quale è allora la responsabilità del cristiano davanti a questa situazione? Può sentirsi responsabile della salvaguardia del creato? In altre parole, il cristiano che celebra l’Eucaristia domenicale con la materia frutto della terra (creazione) e del lavoro dell’uomo può sentirsi chiamare in causa dalla crisi ecologica e dalla salvaguardia del creato?

Questa riflessione ha proprio lo scopo di rispondere a questi interrogativi. Si tratta di un’analisi che vuole evidenziare la responsabilità del cristiano che celebra l’Eucaristia davanti alla crisi ecologica e alla salvaguardia del creato. Questo studio riguarda tre punti:

  • La dimensione mistica della presenza di Dio nell’universo
  • La responsabilità del cristiano nella salvaguardia del creato, partendo dall’Eucaristia
  • L’Eucaristia, luogo dell’omaggio e della salvaguardia della vita.

Oltre a questa introduzione, una conclusione porrà fine a questa nostra riflessione.

 

1. La dimensione mistica della presenza di Dio nell’universo

Nessuno può mettere in dubbio che l’Eucaristia sia fonte di responsabilità per la salvaguardia della “casa comune”. Ora, non è possibile parlare dell’Eucaristia e della salvaguardia del creato senza sottolineare la dimensione mistica della presenza di Dio nell’universo. In effetti, secondo papa Francesco, “L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero”[2]. Nella sua enciclica sull’ecologia, papa Francesco invita a scoprire in ogni cosa l’azione di Dio e a trovare la presenza di Dio nelle creature. In uno stile poetico e citando un maestro spirituale, Ali Al-Khawwas, il papa ricorda che Dio si lascia scoprire nel soffio del vento, nel rumore dell’acqua che scorre, nel ronzio delle mosche, nel cigolio delle porte, nel canto degli uccelli, nel sospiro degli ammalati e nel gemito degli afflitti[3].

Sottolineando la dimensione mistica della creazione, il papa riconosce che c’è un legame intimo tra Dio e gli esseri. La creazione non deve essere più considerata come semplice natura, ma un veicolo della presenza misteriosa del divino che assume questa natura. Il papa invita ad andare oltre le cose visibili per vedere i segni che parlano della presenza dell’autore della creazione che è Dio. Ed è secondo questa visuale che bisogna comprendere i sacramenti. Secondo il papa:

“I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode. La mano che benedice è strumento dell’amore di Dio e riflesso della vicinanza di Cristo che è venuto ad accompagnarci nel cammino della vita. L’acqua che si versa sul corpo del bambino che viene battezzato è segno di vita nuova”[4].

È nella presenza del Verbo Incarnato di cui i sacramenti sono segni, che tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso: “Il Figlio di Dio ha assunto nella sua Persona una parte dell’universo materiale, nel quale ha introdotto un seme di trasformazione definitiva”[5].

Per meglio chiarire il posto della natura nella rivelazione, Gesù si è servito di realtà particolari. Queste realtà sono meglio visibili nell’atto dell’istituzione dell’Eucaristia. Non soltanto Gesù si è incarnato (cfr. Gv 1,14), ma ha anche usato i prodotti della natura per istituire il sacramento del suo amore che è l’Eucaristia.

Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Uniti al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio[6].

Seguendo i suoi predecessori che hanno sottolineato la dimensione cosmica dell’Eucaristia, papa Francesco riconosce comunque che l’Eucaristia è in se stessa un atto d’amore cosmico[7]. Per sottolineare la dimensione cosmica dell’Eucaristia, Francesco prende in prestito un’idea cara al suo predecessore:

“Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo”. L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico “la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso”[8].

 

2. La responsabilità del cristiano nella salvaguardia del creato, partendo dall’Eucaristia

L’Eucaristia e il creato sono due temi che si alimentano e fecondano reciprocamente, si articolano in modo coerente, si illuminano a vicenda. L’Eucaristia è un vero parametro di riferimento[9] per la teologia dell’ecologia e per la responsabilità umana nel creato. “L’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato.”[10].

La scelta del pane e del vino come materia eucaristica fatta da Gesù Cristo, il rapporto del vino con il sangue e la vita, il riposo domenicale e la celebrazione domenicale possono aiutarci a capire o a evidenziare la responsabilità del cristiano nella salvaguardia del creato, partendo appunto dall’Eucaristia. La specie eucaristica del pane comprende diverse questioni semantiche. Secondo il vocabolario della teologia biblica.

Il pane, dono di Dio, è per l’uomo sorgente di forza (Sal 104, 14), un mezzo di sussistenza così essenziale che, mancare di pane. significa mancare di tutto (Am 4,6; Gn 28,20); nella preghiera, che Cristo insegna ai suoi discepoli, il pane sembra quindi riassumere tutti i doni che ci sono necessari (Lc 11, 3); più ancora, esso è stato preso come segno del maggiore dei doni (Mc 14, 22)[11].

Il pane è frutto della natura. Il pane è un luogo di comunione tra l’umano e il divino. Ecco perché il pane è utilizzato anche nel culto. Ed è soprattutto nell’Eucaristia, che l’uso del pane nel culto costituisce un alto momento: dopo la moltiplicazione dei pani con dei gesti liturgici (Mt 14,19), Gesù prescrive durante la Cena di rinnovare l’azione con la quale ha fatto del pane il suo corpo sacrificato e sacramento dell’unità dei fedeli (1 Co 10, 16-22,23-36) e del vino il suo sangue.

Così, nell’istituzione della condivisione del suo corpo e della sua vita “con il pane” la considerazione degli elementi della natura, raggiunge il suo più alto grado. Ma nell’Eucaristia, Gesù fa un altro passo: egli fa del pane “il suo proprio corpo”. La natura non è più solamente riconosciuta come un dono di Dio, nel senso di “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Essa è dichiarata “costitutiva” dello stesso spessore in cui si realizza la “comunione reale” con il divino.

Nell’Eucaristia la natura è più che “dono”. Attraverso di essa l’umano entra nel dramma di una comunione misteriosa, intima e profonda con il divino. Attraverso le specie del pane e del vino, è tutta la natura stessa, oltre alla sua realtà biofisica, che accede alla dignità di essere un luogo di incontro “comunionale” con Dio.

L’Eucaristia implica un’ecologia cosmica. Nell’Eucaristia, la natura, e non soltanto la carne umana, è innalzata alla dignità di essere un vettore d’incontro con la presenza reale divina (e ciò senza panteismo). Questo approccio non dipende da un dettame umano sulla materia. Come dice M. Kehl:

In quanto realtà pre-donata dal Creatore, la natura possiede un proprio valore specifico (come ogni creatura che in effetti è posta da Dio nella sua propria esistenza), e questo valore proprio, nel suo stesso principio, pone dei limiti al potere dell’uomo di disporre delle cose. (Anche se) nel caso concreto, è sempre molto difficile determinare con precisione i limiti imposti all’uomo quando lavora e utilizza le realtà naturali “pre-donate”[12].

Nell’Eucaristia, l’espressione “questo è il mio corpo” indica anche il dato dove si gioca il dramma dell’incommensurabile mistero della “presenza” tra Dio, il mondo e gli uomini.

Come il pane, il vino, il secondo componente dell’Eucaristia, dispone di un grande valore simbolico, tanto nella vita profana che cultuale. Come il pane, il vino è un dono di Dio (Gn 27,28). Il vino è sorgente di vita per l’uomo quando lo beve moderatamente (Si 31,27). Il vino simboleggia tutto ciò che la vita può avere di piacevole[13]. Da un punto di vista religioso, il simbolismo del vino si colloca in un contesto escatologico[14].

Gesù si servirà del pane e del vino per istituire l’Eucaristia che ha affidato ai suoi discepoli. Il vino rimanda alla “realtà incommensurabilmente piacevole dell’amore di Dio”. Ora questo amore è ciò che c’è di più intimo in Dio da una parte; dall’altra parte, l’amore di Dio è ciò che c’è di più vivificante nelle creature e nella creazione come totalità. L’amore di Dio è, in un certo senso, come il sangue, ciò che fa vivere la creazione. Il vino rimanda all’amore e l’amore rimanda all’elemento vivificante più intimo che è il sangue. Gesù può allora prendere il vino per dire “prendete questo è il mio sangue” cioè l’elemento più vivificante in me che diventerà il più vivificante in voi.

Bere il vino diventato sangue di Cristo, è bere la cosa più intima di Dio, il suo amore. È dunque un bere l’amore di Dio “in Gesù” per ottenere una vivificazione e una gioia eterna. Si tratta di bere alla sorgente della bontà che è lo stesso Dio.

In questo contesto, la “bontà” naturale del “bere il vino” è così, le bontà che strutturano le piccole cose della natura sono “analoghe partecipanti” che permettono d’intravedere la bontà del Creatore, l’amore del Creatore di cui sono fatte. In questo senso, la bontà delle creature che è una delle “figurazioni” della bontà della comunione alla salvezza eterna e|o alla gioia eterna costituisce una rivelazione cosmica della bontà divina: Una lettura della natura in ciò che essa ha di buono, di vivificante rimanda a una contemplazione della sorgente da cui deriva. Il senso degli elementi della natura che fanno funzionare l’atto dell’istituzione eucaristica rinvia al senso del divino, e il senso del divino rinvia a osservare la natura per tutto ciò che ha di buono.

L’Eucaristia è una catechesi sulla Bontà della creazione così che essa riflette in maniera intima la bontà del Creatore. Nei testi della creazione, quest’ultima è data all’uomo. È dunque un dono d’amore e non uno “scorpione”, un “serpente”, o ancora un veleno (cfr. Lc 11,11-12) che è stato affidato all’uomo.

La teologia del simbolismo sul significato del vino in rapporto al sangue e all’amore di Dio, rischiara il senso della creazione come dono della vita divina, della sua bontà per la vita della creazione e delle creature. Essa è una risposta più esplicita dell’ecologia integrale sulle differenti inquietudini del mondo causate dalle nocività generate da una cattiva gestione dell’ecosistema e dei suoi elementi.

Da questa analisi fatta sul senso del sangue e del vino, partendo dalla visione di papa Francesco, l’Eucaristia pone l’umanista in una posizione di autocritica, di messa in discussione delle diverse perversioni della natura contro la sua “natura originaria” che, nella prospettiva della fede, dovrebbe essere a priori buona, in modo trascendentale.

Se la natura è un luogo di vita e nel nostro rapporto con quest’ultima noi “beviamo alla bontà divina”, noi comunichiamo al sangue di Cristo, cioè all’amore di Dio, allora questa creazione non dovrebbe essere pervertita con veleni tossici contro gli uomini e contro la stessa natura. Dalla teologia eucaristica focalizzata sul “vino”, il credente può far derivare i motivi per sostenere una missione profetica di denuncia di tutte le intossicazioni della natura contro la vita quale sia il suo livello.

 

3. Eucaristia, luogo di omaggio e della salvaguardia della vita

L’Eucaristia è un richiamo alla salvaguardia e alla promozione della vita e della creazione nel suo insieme. La responsabilità cristiana per la salvaguardia della creazione, specialmente la protezione della vita, diventa sempre più urgente, se prendiamo in considerazione le parole di Gesù: “questo è il mio sangue” (cfr. Mt 26,28; Mc 14,24). Al cuore dell’espressione imperativa “questo è il mio sangue”, c’è una realtà il “sangue”. Il sangue comporta differenti connotazioni e implicazioni di significato in relazione alla responsabilità del cristiano nei confronti della vita.

Il sangue è al centro della vitalità e dell’esistenza degli organismi viventi sanguigni. Il sangue sostiene e anima la vita. Esso costituisce la realtà particolare per la quale un organismo vive. Nelle Sacre Scritture, il sangue è sacro. Versare il sangue di un altro, che sia quello di una vittima di sacrificio o di un essere umano, in generale è fare un atto che introduce in una relazione con l’altro mondo, il mondo invisibile. Il sangue è sacro agli occhi di Dio. Il sangue costituisce il valore intimo e unico dell’essere, così come Dio vuole. Il Sangue è “ciò che l’essere” ha d’inalienabile in quanto proprietà di Dio. Secondo quest’ottica, non si possono giustificare

la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio dei diamanti insanguinati e delle pelli degli animali in via d’estinzione, l’acquisto degli organi dei poveri nell’intento di venderli o di utilizzarli per delle sperimentazioni, o il rifiuto dei bambini perché non rispondono alle attese dei loro genitori, la logica dell’ “usa e getta”, che genera tanti residui[15].

Nessuno può toccare il sangue di un altro. “Dare il sangue per”, è dare la cosa più intima che si ha per il proprio sopravvivere e per il bene dell’altro. Gesù dà ai suoi discepoli da bere il suo sangue. Gesù invita a comunicare alla sua vita grazie alla comunione al suo sangue. Gesù invita a condividere con lui più ontologicamente e “esistenzialmente” ciò che ha di più intimo.

Per Gesù, la vita dell’essere umano è talmente preziosa e sacra ai suoi occhi che essa merita che il suo sangue sia versato per proteggerla e salvarla. La vita nel suo senso attuale e eterno, per Gesù merita tutto, anche il sacrificio fino al sangue versato sul legno della croce. Così il sangue di Gesù diventa sorgente di pace per l’umanità: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1, 19-20)[16].

Il sangue è dunque denso di sacralità, dell’appartenenza all’Altro, a Dio, dell’appartenenza al divino. Dato che è una proprietà dell’Altro, tutto dovrebbe essere investito per proteggere la vita. Gesù dà la sua vita per proteggere la vita. L’organizzazione del saper vivere in società dovrebbe realizzarsi rispettando l’imperativo del “non uccidere” (Dt 6, 17). La vita (simbolizzata qui dal sangue) è dunque un elemento della natura che, nella rivelazione, è oggetto di uno sguardo particolare di Dio. Essa è una proprietà particolare attraverso la quale Gesù fonda il suo amore e vuole far cambiare la società.

L’Eucaristia, come luogo di omaggio alla vita, invita quindi ogni organizzazione della natura a essere elaborata nel rispetto della vita.

In questo senso una pratica ecologica dannosa per la vita, da parte di alcuni o di altri, non è conforme al senso delle cose come inteso dalle Sacre Scritture. La comunione eucaristica è dunque un processo di condivisione di questo invito a fare tutto il possibile per imporsi dei limiti affinché il sangue di tutti sia rispettato. Le parole dell’istituzione eucaristica riempiono della presenza divina la vita che simboleggia il sangue o l’elemento vitale intimo che, per il Creatore, è la struttura sacra esistenziale di ciò che è lui o lei.

“Prendete e bevete” significa, impegnatevi come me fino al sacrificio per la protezione della vita, del sangue dell’uno e dell’altro. Condividete quotidianamente questo sacrificio. Fatelo in memoria di me (Lc 22,19). Le parole di Gesù sono un richiamo all’impegno quotidiano continuo e senza fine per la protezione della vita sulla terra (rivoluzione al servizio dei poveri, dei malati, degli indigenti) e per la vita eterna. Questa protezione della vita richiede una organizzazione del mondo tale che non risulti dannosa per la vita che Dio ha “visto come buona”.

“Prendete e bevete” è sorgente di responsabilità per la salvaguardia dell’altro e del creato, per il mantenimento della relazione con l’altro. La sua negligenza “distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra”[17]. È un richiamo a mantenere buone relazioni con l’altro. Per sottolineare questo aspetto, papa Francesco fa riferimento alla conversazione drammatica tra Dio e Caino: “che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” (Gn 4, 9-11)[18].

La riflessione sull’Eucaristia valorizza la vita e invita dunque alla responsabilità che deve caratterizzare ogni cristiano nei confronti dei poveri, e il suo “bisogno di rafforzare la coscienza che noi siamo una sola famiglia umana”[19]. In effetti, questa riflessione è fatta nella dinamica dell’organizzazione dei progetti ecologici e della salvaguardia del creato. L’Eucaristia ci richiama non soltanto a una visione “antropocentrica” o “cosmocentrica”, ma piuttosto a una visione “bio-centrica” dell’ecologia.

Poiché il sangue simboleggia la vita, l’Eucaristia rischiara d’un alta luce tutte le pratiche di protezione della vita, anche nella sua dimensione elementare. Così, riconoscendo in modo particolare che l’Eucaristia, soprattutto domenicale, sottolinea con più forza la sua dimensione ecclesiale[20] o comunitaria, nello stesso tempo bisogna ammettere che l’Eucaristia è sorgente d’impegno per ogni battezzato, per la salvaguardia della vita e del creato. Così, il cristiano è chiamato a una buona gestione di tutto ciò che tocca da vicino o da lontano il rispetto della vita. Perché, “l’uno e l’altro aspetto, quello della celebrazione e quello dell’esperienza vissuta, sono in stretto rapporto”[21].

La celebrazione eucaristica implica la missione di proteggere la vita e la creazione nel suo insieme. Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono ad affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che li attendono nella loro vita ordinaria. Come i primi testimoni della risurrezione, i cristiani convocati tutte le domeniche per vivere e proclamare la presenza del Risorto, sono chiamati a farsi nella loro vita quotidiana evangelizzatori e testimoni. Dopo la celebrazione eucaristica, ogni discepolo ritorna nel suo luogo di vita con il dovere di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio (cfr. Rm 12,1), debitore, non solo verso i suoi fratelli e sorelle di quanto ha ricevuto nella celebrazione, ma anche verso l’insieme della creazione[22].

La partecipazione all’Eucaristia domenicale ha una importanza speciale per la salvaguardia del creato. Essa acquista un senso fondamentale che aiuta il cristiano nel comprendere il suo rapporto con la creazione. Essa rinnova la comprensione stessa che l’uomo ha del riposo domenicale. L’Eucaristia domenicale diventa per ogni cristiano una chiamata “al risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo”[23].

Con il riposo domenicale e la celebrazione eucaristica, il cristiano impara a integrare nella sua vita il valore del tempo libero e della festa. Egli ridà il vero senso al giorno della domenica che è il “giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata”[24].

La celebrazione eucaristica costituisce per ogni cristiano una chiamata a includere nella sua mentalità e nel suo agire una dimensione di accoglienza e di gratuità che gli permettano di evitare un vuoto attivismo, una sfrenata voracità e l’isolamento della coscienza che non vede altro che il suo beneficio personale. In altre parole, il riposo domenicale costituisce per ogni fedele, “ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri”[25].

 

Conclusione

La crisi ecologica, in questo senso, è per tutti una interpellanza e una vera scuola di formazione alla responsabilità.

L’Eucaristia è senza dubbio, il centro dell’universo e sorgente inesauribile di responsabilità per la salvaguardia e la promozione della vita e della creazione nel suo insieme. Nell’Eucaristia, “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue” indicano anche la situazione in cui si gioca il dramma dell’incommensurabile mistero di “interazione” tra Dio, il mondo e gli uomini che è sorgente di impegno per ogni cristiano.

Come chiamata e vero parametro di riferimento per la responsabilità cristiana in ciò che riguarda la salvaguardia del creato, facendo della protezione della vita molto di più che una urgenza, “l’Eucaristia è anche sorgente di luce, di motivazione per le nostre preoccupazioni che riguardano l’ambiente, ed essa ci invita ad essere guardiani di tutta la creazione”[26].

 

[1] Aurélien Barrau, Le plus grand défi de l’histoire de l’humanité. Face à la catastrophe écologique et sociale, Neuilly-sur-Seine 2019.

[2] Francesco, lettera enciclica Laudato Si’ (2015), 233.

[3] Cfr. Francesco, Laudato Si’, 233.

[4] Francesco, Laudato Si’, 235.

[5] Francesco, Laudato Si’, 235.

[6] Francesco, Laudato Si’, 236.

[7] Francesco, Laudato Si’, 236.

[8] Francesco, Laudato Si’, 236.

[9] Per parametro di riferimento si intende un insieme strutturato di informazioni o un sistema di riferimento legato ad un campo di conoscenza, in vista di una pratica o di uno studio, e nel quale si trovano elementi di definizioni, di soluzioni, di prassi o altri argomenti relativi di questo campo di conoscenza.

[10] Francesco, Laudato Si’, 236

[11] Xavier Léon-Dufour (dir.), Vocabulaire de Théologie Biblique, Paris 1970, 875.

[12] Medard Kehl, « Et Dieu vit que cela était bon ». Une théologie de la création, Paris 2008, 493.

[13] Amicizia (Sir 9, 10), amore umano (Ct 1, 4; 4, 10), gioia (Zac 10, 7; Gdt 12, 13). Egli può anche evocare l’ebbrezza malsana dei culti idolatrici (Ger 51, 7; Ap 18, 3) come pure la felicità del discepolo della sapienza (Pr 9, 2).

[14] Cfr. Am 5, 11; Mi 6, 15; Is 51, 17; Am 9, 14; Os 2, 24; Mc 2, 22; Gv 2, 10; Mt 9, 17; Mt 26, 39). Questo calice che chiede ai suoi discepoli di bere (Gv 6, 53-56) è un alimento di vita eterna e pegno di vita eterna. Tuttavia, prima di bere del vino nuovo nel Regno del Padre, il cristiano si nutrirà, lungo i giorni, del vino divenuto il sangue versato del suo Signore (cfr. 1 Cor 10, 16).

[15] Francesco, Laudato Si’, 123.

[16] Cfr. Francesco, Laudato Si’, 100.

[17] Francesco, Laudato Si’, 70.

[18] Francesco, Laudato Si’, 70.

[19] Francesco, Laudato Si’, 52.

[20] Giovanni-Paolo II, Lettera apostolica Dies Domini (1998), 34.

[21] Giovanni-Paolo II, Dies Domini, 40.

[22] Cfr. Giovanni-Paolo II, Dies Domini, 45.

[23] Francesco, Laudato Si’, 237.

[24] Francesco, Laudato Si’, 237.

[25] Francesco, Laudato Si’, 237.

[26] Francesco, Laudato Si’, 236.

Ultima modifica il Lunedì, 29 Maggio 2023 08:09