Lunedì, 29 Maggio 2023 08:02

6. La celebrazione dell’Eucaristia nelle diverse culture Il caso della Repubblica Democratica del Congo

Noel Mayamba, sss. 
Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, 4/9/2022.

Testo originale in francese.

Introduzione

L’evento ecclesiale che ha segnato la storia del cristianesimo in Africa nel XX° secolo è senza dubbio il Concilio Vaticano II. Il Vaticano II è il primo Concilio nella storia della Chiesa in cui si è registrata la partecipazione di vescovi provenienti dall’Africa subsahariana.

L’episcopato congolese è stato uno dei più rappresentati tra gli episcopati africani al Concilio con 40 prelati, tra cui 10 vescovi provenienti dall’Africa. Mons. Malula, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Leopoldville, membro conciliare della commissione liturgica, è stato una delle figure più notevoli dell’episcopato africano per la riforma liturgica. Ogni episcopato doveva dare il suo contributo, tanto modesto quanto decisivo per il futuro della Chiesa in Africa. Si trattava dell’Africa che soffriva ancora delle ferite della colonizzazione occidentale.

In effetti, all’epoca l’Africa era soggiogata dalle potenze occidentali che imponevano la loro cultura, lingua e religione. La cultura coloniale era il criterio di civiltà. È in questo contesto che è nata la confusione tra la missione della Chiesa e il potere coloniale. Di conseguenza, quando le legittime aspirazioni all’indipendenza hanno dato origine a frizioni con le autorità civili, le missioni sono apparse a molti come legate al governo e schierate con esso.

È in questa lotta contro l’imperialismo occidentale che l’Africa ha ricevuto l’annuncio del Concilio Vaticano II. Questo annuncio ha suscitato un entusiasmo così forte che l’Africa intera si aspettava di trovare risposte alle preoccupazioni inerenti al proprio contesto socio-politico, ecclesiale e liturgico.

È stato a seguito del programma dato al Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum concilium, che l’episcopato congolese dell’epoca ha cercato una modalità africana e zairese per la celebrazione dell’Eucaristia, che porterà al progetto del rito zairese della Messa.

 

1. Il dialogo tra l’episcopato dello Zaire e la Santa Sede

Le iniziative prese dai vescovi per inculturare la liturgia offrono “ai congolesi una possibilità di ricreare la loro unità interiore e di trovare una risposta alle aspirazioni comunitarie così profondamente radicate nel loro cuore”[1]. Si tratta qui di prendere in considerazione la cultura africana e congolese nel rito romano introdotto in terra africana, perché la cultura costituisce ciò che è specifico dell’uomo[2]. Infatti, senza questa conoscenza, il Vangelo di Gesù rimarrà un’informazione e non un messaggio di salvezza[3].

Il progetto di questo nuovo rito sta già suscitando molto interesse e passione nell’episcopato. Sarà anche oggetto di dialogo tra i prelati del Congo durante le visite ad limina.

La visita ad limina apostolorum del 1983 è stata l’occasione di uno scambio sulle opzioni fondamentali dell’episcopato congolese, elaborate alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Si tratta specialmente dell’evangelizzazione approfondita dell’uomo e dell’inculturazione. Il tono sta cambiando da parte dei prelati congolesi. Non è più l’adattamento che chiedono, ma l’inculturazione del messaggio in terra congolese.

Parlando a nome dei suoi colleghi, il cardinale Malula ha espresso al Papa una delle maggiori preoccupazioni della Chiesa in Congo, dicendo: “In Zaire siamo impegnati alla ricerca di percorsi per una liturgia che risponda alle aspirazioni più profonde degli africani, in questo caso il rito zairese”[4].

La risposta di Papa Giovanni Paolo II non si è fatta attendere. Ha dato il suo assenso di principio, dicendo: “Come - ha dichiarato - una fede veramente maturata, profonda e convinta non potrebbe essere espressa in un linguaggio, in una catechesi, in una riflessione teologica, in una preghiera, in una liturgia, in un’arte, in istituzioni che corrispondano veramente all’anima africana dei vostri compatrioti?”[5].

In definitiva al termine di questa visita ad limina, l’episcopato congolese si è sentito confortato nei suoi sforzi di evangelizzazione in profondità. Così nel 1988 è stato promulgato il Messale Romano per le diocesi dello Zaire, comunemente chiamato rito zairese.

 

2. Le conquiste del Messale romano per le diocesi dello Zaire (MRDZ)

2.1. La partecipazione attiva, l’acquisizione più importante dello MRDZ

Va detto che il MRDZ non sarà una creazione ex nihilo. Fa parte dell’unità del rito romano, che ha accompagnato l’evangelizzazione del Paese e l’istituzione della Chiesa in Congo. Pertanto, per trovare la sua originalità, è necessario esaminare i suoi elementi costitutivi alla luce del rito romano.

È con l’inserimento degli elementi propri della cultura nera che il MRDZ otterrà questa partecipazione attiva. Si tratta in particolare:

2.1.1.   L’espressione verbale

In Congo esistono quattro lingue nazionali: lingala, kikongo, thiluba e swahili, e due lingue internazionali: francese e inglese. Per l’episcopato congolese, il problema è lasciare che il genio proprio di ogni lingua possa esprimere ciò che di meglio c’è nella liturgia. “Gli ordinari sono convinti che non si possa ottenere una partecipazione attiva dei fedeli se almeno tutta la liturgia non si svolge direttamente ed esclusivamente in lingua viva”[6].

Di conseguenza, il Messale Romano per le diocesi dello Zaire sarà pubblicato in lingala come lingua di partenza per tutte le altre lingue congolesi. Per il momento, il rito viene celebrato solo nelle lingue locali.

L’esperienza del cardinale Malula parla da sola sulla questione della lingua liturgica in Congo. Durante una delle sessioni di lavoro del Concilio, gli fu chiesto di cantare uno dei canti liturgici nella sua lingua; quando aprì la bocca, uscì il Padre Nostro in lingala. Un’aria di sollievo e soprattutto di speranza si leggeva sui volti dei partecipanti, come a dire: “Ecco un assaggio di ciò a cui tendono i nostri sforzi”. I miei collaboratori potevano sentire tutta la mia anima vibrare in questo “Padre Nostro” in lingala: ero pienamente immerso in ciò che stavo cantando[7].

Insomma, possiamo ricordare che la lingua è lo strumento di comunicazione per eccellenza, e, celebrando nella lingua locale, il nuovo ordo congolese favorisce questa partecipazione dei fedeli al mistero che si celebra. Il latino, la lingua liturgica del rito romano, non può assicurare questa comunicazione tra l’anima africana e il mistero che si celebra.

2.1.2.   L’espressione musicale: la musica congolese al servizio della santità

Il Concilio Vaticano II ha dato i criteri che dovrebbero essere utilizzati per la musica propriamente legata al culto. Infatti, la musica nella liturgia è per la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo. A tal fine, nulla di profano deve essere incorporato con una connotazione profana nel testo, nei generi e nelle composizioni.

Per promuovere la musica autenticamente africana nella liturgia, l’episcopato congolese ha proposto la creazione di commissioni per la musica sacra che: “avranno cura di preservare il carattere autenticamente africano di questa ispirazione, evitando di snaturare la loro spontaneità con procedure compositive di altre culture [...]. L’uso di strumenti musicali africani è incoraggiato durante le celebrazioni al servizio dei canti dell’assemblea”[8].

Molti canti saranno oramai sempre più scritti e cantati nelle lingue locali. Questi canti saranno eseguiti al ritmo del tam-tam e di altri strumenti tradizionali.

Così, in breve tempo, ovunque in Congo il canto nella lingua nazionale ha sostituito il canto gregoriano. I vescovi chiedono che i compositori siano fedeli ai modi musicali africani e al ritmo africano[9]. Da un lato, i canti liturgici sono spesso testi ispirati ai salmi o ad altri passi della Parola di Dio[10].

D’altra parte, questi canti liturgici attingono dal folclore del popolo e persino dallo stile popolare. La musica, il cui ritmo provoca la partecipazione corporea alla preghiera attraverso il canto e il movimento ritmico del corpo, costituiscono l’abbellimento sonoro della celebrazione. E i vescovi affermano che: “È previsto l’uso del tam-tam e di altri strumenti musicali tradizionali per accompagnare i canti”[11].

2.1.3.   L’espressione artistica

Gli strumenti musicali devono favorire la pietà del popolo. Già nel 1966, per la prima volta, l’arcivescovo di Kinshasa decise di introdurre il tam-tam. È uno strumento africano per eccellenza che dà il ritmo alle grandi cerimonie gioiose o dolorose. In effetti, il Concilio Vaticano II ha aperto le porte all’uso di strumenti musicali diversi dall’organo. L’arcivescovo di Kinshasa afferma: “Possiamo quindi utilizzare i nostri strumenti tradizionali nell’esecuzione dei canti liturgici [...]. Questi strumenti devono sempre mantenere il loro ruolo, quello di sostenere e accompagnare i canti, non di dominarli o sopraffarli. I tam-tam devono servire come musica di sottofondo, in modo da far sentire le voci dei cantori e le parole che esprimono la preghiera”[12].

Tra le direttive che hanno accompagnato l’autorizzazione degli strumenti africani nella liturgia, Malula insiste sul fatto che questi strumenti, destinati al culto divino, devono assolutamente essere tenuti lontani da ogni altro uso profano, e non devono essere mai impiegati per dare il ritmo del jazz o delle danze proprie dei giovani.

2.1.4.   L’espressione culturale: la danza nella liturgia congolese come espressione di comunicazione

Insieme al canto, la danza ha un posto di rilievo in Africa. È un potente mezzo di comunicazione con le forze cosmiche e umane. In effetti, la danza in Africa può esprimere un sentimento di gioia e di festa, o anche di tristezza e di sventura. Ma nella liturgia “diventa un’espressione di entusiasmo che nasce dal sentire la presenza di Dio e dal condividere il suo essere”[13]. Per Mveng, la danza stabilisce anche un contatto tra le persone e il loro creatore: “La danza è l’espressione sacramentale della religione africana [...]. È un impulso mistico, che cerca di tradurre l’impotenza dell’uomo ad attraversare l’abisso che lo separa da colui che è la Vita nel quale egli ricerca la pienezza”[14].

La danza sarà introdotta nella liturgia della messa. La processione d’ingresso si svolge con un passo di danza; durante il canto del “gloria” il sacerdote con gli altri ministri eseguono la danza intorno all’altare. Il significato della danza intorno all’altare è quello di partecipare alla gloria di Dio. Quando il coro canta l’inno dell’offertorio, dei fedeli preposti prendono i vasi sacri, le ampolline dell’acqua e del vino e gli altri doni. Al ritmo del canto, si muovono verso l’altare, eseguendo passi di danza. Danzano anche durante il “sanctus” e la processione di uscita. In breve, la danza è un’espressione di contatto con Dio, al quale si vuole esprimere lode, adorazione, dolore, pentimento e la gioia di essere alla sua presenza.

A tal fine, la celebrazione liturgica africana deve essere compresa non solo nelle parole, ma anche nel movimento del corpo, cioè nei gesti e nella danza.

La danza nella liturgia congolese è eseguita con dignità, senza scatti, senza profusione di movimenti in varie direzioni. Inoltre, i vescovi hanno proibito la tendenza a trasformare la liturgia della messa in un concerto musicale con danze profane.

Nel messale romano delle diocesi dello Zaire, gli elementi si chiamano e si rispondono a vicenda con parole, azioni, movimenti e persino ritmi significativi. I fedeli stanno in piedi come nel rito romano. Mentre siedono durante le letture, compreso il Vangelo. Tengono le mani alzate durante le orazioni, durante la dossologia e la preghiera del Padre nostro. E durante l’atto penitenziale, assumono un atteggiamento di richiesta di perdono: testa leggermente abbassata e braccia incrociate sul petto.

Pensiamo anche all’omelia che, utilizzando i linguaggi sviluppati dalle comunità cristiane, diventa una conversazione familiare non più unidirezionale ma dialogica e partecipata. Al termine dell’omelia, il popolo esprime il proprio sostegno con un ultimo gesto di acquiescenza alla predicazione battendo le mani. Al momento della presentazione delle offerte, tutta la comunità, in piedi e con le mani alzate, pronuncia all’unisono con i suoi rappresentanti le stesse parole rivolte al celebrante. La preghiera sulle offerte, pronunciata nella sua sostanza dal celebrante, si conclude all’unisono con l’assemblea che partecipa con le mani alzate, cantando all’unisono la parte conclusiva. Così pure è per la colletta e la preghiera sulle offerte, la preghiera dopo la comunione, il canto del prefazio e persino il canone, nessun elemento sfugge all’espressione partecipativa.

Se nel Messale Romano per il Congo il dialogo tra il sacerdote e l’assemblea è costante, è particolarmente notevole durante la preghiera eucaristica. Non si limita al dialogo del prefazio, ma attraversa tutta la preghiera eucaristica e culmina nella dossologia finale. Il bisogno di partecipazione è tale che l’assemblea segue istintivamente la conclusione delle preghiere, la fine di ogni frase del prefazio. Ma l’articolazione del dialogo non si limita a questo livello. Il dialogo che contraddistingue ogni parte della celebrazione è visibile anche nelle quattro processioni ritmate [all’ingresso, alla presentazione delle offerte, alla comunione e all’uscita] che costituiscono la spina dorsale della messa. È presente nella gestione protocollare della parola e nell’arte oratoria che elabora l’omelia in dialogo e in collaborazione con l’assemblea.

Possiamo dedurre che i gesti della liturgia congolese proiettano una particolare visione del sacro, essendo al contempo canali di trasmissione della memoria di Gesù. C’è un tempo di silenzio per ascoltare la parola di Dio e un tempo di dimostrazione gioiosa per esprimere l’effetto della storia di Gesù sull’assemblea. C’è uno stile e una strategia nei gesti. Essi incarnano un’intera storia, un’intera memoria.

 

Conclusione

Secondo gli specialisti, l’inculturazione della liturgia nella RD Congo è un’esperienza che ha avuto successo:

“Le opzioni prese dall’episcopato dello Zaire per arrivare a una celebrazione eucaristica particolare per il popolo di questo paese è un esempio riuscito di inculturazione, dove la fonte originale rimane riconoscibile, dove la fede della Chiesa è espressa senza ambiguità, ma dove il modo di esprimere questa stessa fede cattolica prende in prestito il meglio del genio religioso dell’anima africana”[15].

Del resto anche Papa Francesco lo ha appena ribadito. Dopo aver celebrato la messa del 1° dicembre 2019 nella basilica di San Pietro di Roma con il Messale Romano per le diocesi dello Zaire si legge: «Il Messale Romano per le diocesi dello Zaire, approvato dalla Congregazione per il Culto Divino il 30 aprile 1988, è finora l’unico rito inculturato della Chiesa latina approvato dopo il Concilio Vaticano II. Il rito zairese del Messale Romano è considerato un esempio di inculturazione liturgica. Nella celebrazione di questo rito si percepisce una cultura e una spiritualità animata da canti religiosi dal ritmo africano, dal suono dei tamburi e di altri strumenti musicali che costituiscono un vero progresso nell’anima congolese»[16]. Il rito romano per le diocesi dello Zaire, con i suoi gesti, parole, simboli e canti, genera una pratica liturgica che rafforza i mezzi di evangelizzazione.

 

Bibliografia

Antoine SANON, “L’africanizzazione della liturgia”, LMD 123 (1975) pp.100-122.

Conferenza Episcopale dello Zaire:

  • Allocution des évêques des provinces ecclésiastiques de Kinshasa, Mbandaka et Kananga en Visite ad Limina du 18-30 Avril 1988, Kinshasa 1988, 7.
  • Dynamique de la diversité dans l’unité, Kinshasa, Segretariato della Conferenza Episcopale dello Zaire 1887, 24-25.

Conferenza Episcopale Nazionale del Congo, Atti della 6a APEC, Léopoldville 1961, p.363.

Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, “Congus Leopolitanus” Notitiae (1965) pp.1-12.

Engelbert MVENG, L’art de l’Afrique noire, liturgie cosmique et langage religieux, Paris 1964, p.181.

Elochukwu UZUKWU, “Corps et mémoire dans la liturgie africaine”, Concilium 259 (1995) pp.105-120.

François KABASELE LUMBALA, Alliance avec le Christ en Afrique, inculturation des rites religieux au Zaïre, Karthala: Paris, p.131.

Josef MALULA, “Strumenti musicali africani nel culto divino” (4 giugno 1967), DC 1487 (1967) pp.278-285.

Missel romain pour les diocèses du Zaïre, Segretariato della Conferenza Episcopale dello Zaire, Kinshasa 1989.

Roger MBOSHU KONGO (ed), Papa Francesco e il Messale Romano per le diocesi dello Zaire (R.D. Congo), Città del Vaticano, 2019, p.255.

Tharcisse TSHIBANGU, “Verso una teologia di colore nero”, RCA 14, (1960) pp. 227-333.

Sigle e abbreviazioni

APEC:          Assemblea plenaria dell’episcopato congolese 1961-1967

CENCO:       Conferenza Episcopale Nazionale del Congo

CEZ:             Conferenza episcopale dello Zaire

MRDZ:         Messale Romano per le diocesi dello Zaire

RCA:            Rivista del Clero Africano, Leopoldville 1950-1978.

 

[1] Josef Malula, Congus Leopolitanus, Notitiae (1965) p. 121.

[2] Cfr. Papa Giovanni Paolo II, Discorso all’Unesco, 2 giugno 1980.

[3] Tharcisse Tshibangu, « Vers une théologie à la couleur noire », RCA 14, (1960) p. 333.

[4] CEZ, “Dynamique de la diversité dans l’unité”, Kinshasa, Segretariato della conferenza episcopale dello Zaire 1987, 24-25.

[5] CEZ, Esortazione ai vescovi delle province ecclesiastiche di Kinshasa, Mbandaka e Kananga in Visite ad limina del 30 aprile 1988, Kinshasa 1988, 7.

[6] CENCO, Actes de la 6ème APEC, Léopoldville, 1961, 363.

[7] Josef Malula, Congus Leopolitanus, Notitiae (1965) p. 123.

[8] CENCO, Actes de la 6ème APEC, Léopoldville 1961, 364.

[9] Josef Malula, “Préface à Kabasele Lumbala”, in Alliance avec le Christ en Afrique, inculturation des rites religieux au Zaïre, Paris, p. 13.

[10] Cfr. Actes de la 6ème APEC, 365.

[11]Presentazione generale della liturgia della messa per le diocesi dello Zaire”, in MRDZ, Kinshasa 1989, Segretariato della conferenza episcopale dello Zaire, p. 78.

[12] Josef Malula, “Les instruments de musique africaine dans la culte divin” (4 giugno 1967), DC 1487 (1967) 285.

[13] Antoine Sanon, “L’africanisation de la liturgie”, LMD 123 (1975) 122. Cfr. anche Roger Garaudy, Danser sa vie, Paris 1973.

[14] Engelbert Mveng, L’art de l’Afrique noire, liturgie cosmique et langage religieux, Paris 1964, 81.

[15] Elochukwu Uzukwu, “Corps et mémoire dans la liturgie africaine”, Concilum 259 (1995) 105-106.

[16] Papa Francesco, citato da Rita Mboshu, Il Messale Romano per le diocesi dello Zaire, Città del Vaticano 2019, p. 3-4.

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