Venerdì, 26 Maggio 2023 09:50

3. L’Eucaristia sorgente e modello del dono di sé

Manuel Barbiero, SSS. 
Italia, 14/9/2022. 

Testo originale in francese.

 

“Cristianesimo è anzitutto dono: Dio si dona a noi – non dà qualcosa, ma se stesso. E questo avviene non solo all’inizio, nel momento della nostra conversione. Egli resta continuamente Colui che dona. Sempre di nuovo ci offre i suoi doni. Sempre ci precede. Per questo l’atto centrale dell’essere cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova che Egli ci dà”[1].

Questa citazione di Papa Benedetto XVI traccia le linee fondamentali di questo contributo. Tutta la nostra esistenza umana è posta sotto il segno del dono.

Dio dona, è lui che è all’origine di ogni dono (“ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce”, Gc 1,17). Egli si dona a noi soprattutto attraverso suo Figlio, Gesù Cristo. Tutto nella vita di Gesù Cristo è espressione del dono del Padre. Al culmine della sua vita, Gesù ci ha offerto il dono del suo Corpo e del suo Sangue, il dono di tutto se stesso nel sacramento dell’Eucaristia; ci chiama e ci conduce, sulle sue orme, ad essere anche noi un dono per gli altri, ad offrire tutto di noi stessi, la nostra vita, per gli altri.

 

Gesù Cristo: una vita segnata dal dono

Gesù Cristo è tutto amore, è tutto dono, diceva san Pier Giuliano Eymard[2]; è il dono del Padre all’umanità; è il dono in persona; è solo “dono”. “La sua presenza sulla terra e i suoi legami con i membri della Chiesa sono espressi in questa piccola parola”[3].

Se guardiamo a quante volte ricorre il verbo “dare” nel Vangelo di San Giovanni[4], notiamo che è utilizzato molte volte in relazione a Gesù, che è presentato come il “dono” di Dio per eccellenza; ma anche Gesù dà e riceve doni; inoltre, il Padre è spesso coinvolto in questa relazione.

Gesù Cristo, nel dialogo con Nicodemo, afferma di essere il dono stesso di Dio, definisce se stesso come dono rivendicando la sua condizione di dono dato dal Padre.

È il Padre che dona. Egli è all’origine del dono: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16)[5].

Nell’incontro con la donna di Samaria, Gesù si presenta come colui che dà l’acqua viva. Dio non è un Dio che chiede, ma un Dio che dona. “Se tu conoscessi il dono di Dio, -dice Gesù alla samaritana, e chi è colui che ti dice: Dammi da bere! tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4,10).

Il dono di Gesù, in colui che lo riceve, non rimane inattivo, ma mette in moto una dinamica di dono ininterrotta, che si ripete all’infinito: “chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14)[6].

Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani, nel lungo discorso di Gesù a Cafarnao si parla del dono del cibo che rimane fino alla vita eterna. Gesù annuncia il dono del pane del cielo, il vero pane, in contrapposizione alla manna. È un pane dato da Dio, un pane che dà la vita[7].

Ma non basta, il pane deve essere dato, ma anche noi dobbiamo essere dati dal Padre al Figlio (cfr. Gv 6,37.39.65). Il Padre dona gli uomini a suo Figlio (“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me”, Gv 6,37), per salvarli (“Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”, Gv 6,39).

Il pane che Gesù dona è lui stesso, è la sua carne “data per la vita del mondo” (Gv 6,51)[8]. Non basta, quindi, voler ricevere la vita che Cristo dona; bisogna capire che Cristo non è semplicemente l’intermediario tra Dio e gli uomini, ma che egli stesso è il contenuto di questo dono.

Cristo, quindi, non è ai margini della fede. Egli è il suo stesso contenuto ed è per questo che dobbiamo mangiare questo pane dato dal Padre: la carne del Figlio dell’uomo.

Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni troviamo una forte insistenza sul dono che Gesù fa della propria vita. Egli il buon pastore, il vero pastore “dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11 e 15); lui “dà loro la vita eterna” (Gv 10,28).

Questo dono della vita è un atto che Gesù compie in piena libertà e allo stesso tempo in obbedienza al comando del Padre, in uno scambio d’amore tra lui e il Padre. Gesù afferma: “Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10,17-18).

Il dono che Gesù fa di sé è totale e diventa espressione dell’amore più grande, che è anche l’unico amore. In questa dinamica di dono, Gesù si espone alla possibilità di essere rifiutato; e nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni questa possibilità diventa una drammatica realtà.

Tutto questo capitolo ci parla del dono. Gesù è cosciente che il Padre gli ha “dato tutto (didomi / donare) nelle mani”, quindi tutto ciò che egli dona corrisponde al dono che il Padre gli ha fatto: il Padre gli ha dato “tutto” (cfr. Gv 13,3).

Il dono che Gesù fa è un dono che va sempre più crescendo. Abbiamo, prima di tutto, il dono dell’esempio al momento della lavanda dei piedi: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Poi abbiamo il dono del boccone a Giuda: “Rispose Gesù: È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota” (Gv 13,26). Infine, abbiamo il dono del comandamento nuovo, il dono dell’amore reciproco: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

La lavanda dei piedi, nella prospettiva del tradimento, il dono dell’esempio, e il dono del boccone a Giuda, che si comporta da nemico, culminano nel dono dell’amore, il dono di un comandamento nuovo, che implica la reciprocità (“gli uni e gli altri”), basato (“come”) sulla pratica e sull’amore di Gesù per i suoi. Tutti questi doni hanno lo scopo di permettere ai discepoli di amare come Gesù, con la stessa forza, intensità e profondità.

Il capitolo 17, del vangelo di San Giovanni, contiene un insieme di doni[9].

Il Padre ha dato al Figlio un’opera da compiere. Per questo gli ha dato ogni potere. Il Padre ha dato al Figlio “potere su ogni essere umano” (Gv 17,2); donerà loro anche “la vita eterna” (Gv 17,2).

I discepoli, ma in generale tutti gli uomini, sono il dono del Padre al Figlio (“tutti coloro che gli hai dato”, Gv 17,2.24; “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me”, Gv 17,6).

Il Figlio ha ricevuto dal Padre il dono del “nome” (Gv 17,11.12), delle sue parole (Gv 17,8.14) e della gloria (Gv 17,22.24). A sua volta, egli dà tutti questi doni ai suoi discepoli (“Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato”, Gv 17,7-8).

Il Padre dà degli amici al Figlio e il Figlio dà la vita per coloro che gli sono stati dati. L’atto di donare non è banale, secondario o aneddotico; è fondamentalmente una nuova creazione; donare è creare una nuova modalità di relazione.

Concludendo questo cammino attraverso il Vangelo di San Giovanni, possiamo notare che il dono è legato a diversi elementi: l’acqua, il pane, la parola, la vita, l’amore, gli uomini. Tutto questo mostra la forza vitale del dono che Gesù rappresenta per tutta l’umanità.

 

“Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane...”

Al culmine della sua vita, vissuta nel dono totale di sé, Gesù Cristo ci dona l’Eucaristia[10]. Essa è come un riassunto di tutta la sua vita, la conferma di tutto ciò che è stato, in altre parole, è come “la firma del Cristo”[11].

Per comprendere il dono che Cristo ci ha fatto, dobbiamo ricordare il contesto dell’Ultima Cena.

San Paolo, che per primo ci ha trasmesso il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, lo esprime in modo sintetico ma chiaro: “Nella notte in cui veniva tradito...” (1Cor 11,23)[12]. Il contesto è scuro, carico di minacce.

Quella notte, Gesù, come un oggetto, viene consegnato da Giuda ai sommi sacerdoti. Questi lo consegnano a Pilato, Pilato a sua volta lo consegna ai soldati e infine Gesù viene consegnato alla morte sulla croce.

Gesù si trova isolato di fronte alla morte ignominiosa che incombe su di lui. L’arresto, il processo, la condanna e la morte rivelano l’esistenza, intorno a lui e a causa sua, di una rete inestricabile di violenza: violenza fisica, violenza politica e giudiziaria, violenza psicologica. Gesù ha ribaltato questa situazione ineluttabile di violenza e di morte. Ha fatto della sua morte un atto di libertà: viene consegnato, ma allo stesso tempo si consegna, viene dato e allo stesso tempo si dona[13].

In questo contesto, il gesto che Gesù inventa assume un rilievo paradossale, è sorprendente: prende il pane, rende grazie, lo spezza e lo dona. Fa lo stesso con la coppa piena di vino. Egli fa il dono totale della sua vita, ci manifesta l’amore del Padre e il suo modo di agire. Con le parole che pronuncia, Gesù rende esplicito il significato della sua morte per i suoi discepoli e per il mondo.

Gesù offre tutto a Dio per trasformarlo in dono, unico modo per trasformare il negativo e il male in un grande atto d’amore, Gesù trasforma tutta l’atrocità della croce in un dono.

La forza del dono di Dio assume la forma eucaristica del pane e del vino. L’Eucaristia è il luogo in cui il dono che Gesù Cristo ha fatto di se stesso, continua ad essere reale ed efficace per tutta l’umanità[14].

Quando Gesù dice: “Questo è il mio corpo e lo do a voi”, trasmette il dono che è: se stesso, il suo essere, la sua persona che sono il dono del Padre. Gesù ci fa dono del suo corpo. Il corpo è l’io, la storia, la vita. Ciò che Gesù dona è la sua umanità, con le sue possibilità e i suoi limiti.

Il pane e il calice di vino esprimono il dono totale di Gesù, la sua vita data per noi. L’esistenza di Gesù è stata un’esistenza vissuta per l’uomo. Durante tutta la sua vita ha vissuto questo dono. Dall’incarnazione fino alla croce, Gesù è un dono, vive il dono di sé, è il dono d’amore del Padre all’umanità.

Quando Gesù si dona a noi, non pesa quello che dà, dona tutto. Il dono ci parla di un amore senza misura[15].

L’Eucaristia è l’anamnesi del dono di Cristo[16]. Attraverso gli elementi del pane e del vino, l’Eucaristia ci ricorda che il dono è fatto nella sua interezza, senza pentimento e senza ritorno. L’Eucaristia è il dono di qualcuno che si è impegnato interamente nel suo gesto, tanto che gli oggetti che Gesù offre sono presentati come il suo corpo e il suo sangue. È l’essere di Gesù in tutto il suo spessore (desiderio, campo relazionale, memoria, storia, ferite). Gesù ci apre una strada. Si lascia ridurre all’infra-umano, là dove l’umanità viene condotta da tutti i movimenti di rifiuto di Dio e di chiusura; ma, accettando di essere ricondotto a questo, sono gli aspetti della nostra vita già invasi dalla morte che egli viene a chiamare alla vita. Inseriti in lui, siamo accolti nella sua Pasqua, nel suo cammino, e facciamo il passaggio con lui, che è già dalla parte della vittoria. Nuove relazioni diventano possibili. L’Eucaristia promuove una dinamica di accoglienza della vita come un dono al di là delle nostre chiusure, con la possibilità di rispondere a questo dono. Per noi si tratta di essere trasformati e di lasciarci trasformare dalla logica che si dispiega quando siamo veramente presenti a ciò che viene donato nella celebrazione dell’Eucaristia[17].

“L’amore che lo ha portato a morire per noi – ha scritto Guardini – è lo stesso che lo ha portato a darsi a noi come cibo. Non si è accontentato di darci i suoi doni, le sue parole, i suoi consigli, ma si è spinto fino a dare se stesso. Bisognerebbe chiedere a una donna, a una madre, a un’amante, per trovare qualcuno in grado di capire questa esigenza di dare non qualcosa, ma di dare se stessi. Dare se stessi con tutto il proprio essere. Non solo lo spirito, non solo la fedeltà, ma il corpo e l’anima, la carne e il sangue: tutto. Senza dubbio, è il massimo dell’amore voler nutrire un altro con ciò che si è. E il Signore si è consegnato alla morte per entrare, attraverso la sua risurrezione, in quello stato in cui voleva donarsi a tutti e in ogni momento”[18].

 

L’Eucaristia è il dono e il donatore

“Gesù nell’Eucaristia dà non ‘qualche cosa’ ma se stesso; egli offre il suo corpo e versa il suo sangue. In tal modo dona la totalità della propria esistenza, rivelando la fonte originaria di questo amore. Egli è l’eterno Figlio dato per noi dal Padre” (SCa 7).

Gesù può distribuire il suo Corpo, perché dona realmente se stesso. Nell’Eucaristia il dono ha un aspetto unico. “L’Eucaristia, più che il dono, è il donatore”, ha scritto Padre Eymard[19]; infatti, “Il cuore, l’amore di Gesù non si accontenta del dono, dona il donatore”[20]. Nell’Eucaristia abbiamo il dono e il donatore. Il donatore ci viene incontro come un dono e il dono è proprio Colui che dona[21].

Il pane spezzato e il vino versato del sacramento eucaristico rivelano il donatore: Cristo; che a sua volta, nella sua kenosi, rivela il donatore primo (colui che è all’origine di tutto): il Padre. Questa è la caratteristica di Dio. Dio non dà qualcosa, dà se stesso, può solo dare l’Amore che lui è. Se si dona in diversi modi, questi sono solo le diverse manifestazioni di un Amore che è unico.

Nell’Eucaristia Cristo dà se stesso, per intero.

“La Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La possibilità per la Chiesa di ‘fare’ l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso. Anche qui scopriamo un aspetto convincente della formula di san Giovanni: Egli ci ha amati per primo (1Gv 4,19). Così anche noi in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati «per primo». Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo” (SCa n. 14).

L’Eucaristia ha tutte le qualità di un vero, autentico dono.

È un dono gratuito, disinteressato, sincero, fatto senza riserve, senza calcoli[22]; è un dono concreto e incarnato[23]; è un dono totale ed eterno, un dono completo e perpetuo[24]; è un dono sempre disponibile, a cui possiamo accedere; è un dono che ci dà la vita[25]; è un dono che si offre come cibo, è un dono che si può mangiare, che costruisce relazioni[26].

 

Una vita vissuta nel dono di se stesso

Il Concilio Vaticano II ha affermato il legame tra la persona umana e la sua realizzazione attraverso il dono di se stessa: “l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé” (GS 24)[27]. Questa affermazione mostra in modo essenziale cosa significa essere uomini: donarsi totalmente e gratuitamente.

Papa Benedetto XVI ha scritto: “L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza”[28].

Il dono di sé è al vertice del percorso di maturazione umana e spirituale di ogni persona umana. Un cammino che ha come punto di arrivo un’esistenza capace di amare con e come Cristo, fino a donare la propria vita. “Egli ha dato la sua vita per noi” (1Gv 3,16), dice San Giovanni.

Seguire Cristo, amarlo e imitarlo, significa entrare nella logica del dono e del dono che egli ha fatto di se stesso. Il dono di noi stessi orienta la nostra vita ed è il punto di riferimento per la sua costruzione.

Dobbiamo essere consapevoli che una nuova libertà pasquale si realizza nel dono quotidiano di noi stessi[29]. È l’uomo come essere libero che trova se stesso nel donarsi. La libertà è indispensabile all’uomo perché possa “donare se stesso”, perché possa diventare un dono per gli altri[30].

Gesù rivela, con la sua stessa vita e non solo con le sue parole, che la libertà si realizza nell’amore, cioè nel dono di sé. Lui che ha detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13), cammina liberamente verso la sua Passione e, in obbedienza al Padre, dà la sua vita sulla Croce per tutti gli uomini (cfr. Fil 2,6-11).

La contemplazione di Gesù crocifisso è dunque la strada regale sulla quale la Chiesa deve avanzare ogni giorno se vuole comprendere il senso pieno della libertà: il dono di sé al servizio di Dio e dei suoi fratelli. E la comunione con il Signore crocifisso e risorto è la fonte inesauribile a cui la Chiesa attinge costantemente per vivere liberamente, donarsi e servire[31].

L’Eucaristia ci mette in contatto con Cristo, ci mette in contatto diretto con il suo amore e ci rende capaci a nostra volta di amare come Cristo ci ama, fino all’estremo della carità (cfr. Gv 13,1). La grazia dell’Eucaristia mira a condurre il cristiano alla perfezione dell’amore: al dono di sé[32]. L’Eucaristia ci porta alla piena realizzazione di noi stessi perché ci fa entrare nella logica del dono e ci insegna a fare il dono di noi stessi.

a) L’Eucaristia ci affascina, ci attrae e ci fa entrare nella logica del dono

La celebrazione dell’Eucaristia ci mette in contatto diretto con la profondità dell’amore di Gesù Cristo e, attraverso il dono di Cristo nel pane e nel vino, con l’amore della Trinità. Come ha detto Papa Benedetto XVI:

“Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. (...) la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore” (SCa 35).

Papa Francesco, nella sua lettera apostolica Desiderio Desideravi (DD)[33], insiste sulla dimensione dello stupore. Ci invita a lasciarci attrarre, affascinare dal dono di Cristo nella sua Eucaristia. Ha scritto: “La sproporzione tra l’immensità del dono e la piccolezza di chi lo riceve, è infinita e non può non sorprenderci” (DD n. 3).

All’ultima Cena, “nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, o, meglio, attratti dal desiderio ardente che Gesù ha di mangiare quella Pasqua con loro” (DD n. 4).

Quando partecipiamo all’Eucaristia, “siamo attratti dal suo desiderio di noi. Da parte nostra, la risposta possibile, l’ascesi più esigente, è, come sempre, quella dell’arrendersi al suo amore, del volersi lasciare attrarre da lui” (DD n. 6).

L’atteggiamento di meraviglia non può mai venire meno. Purtroppo può accadere che ci sfugga il fascino della bellezza del dono di Cristo.

“Se venisse a mancare lo stupore per il mistero pasquale che si rende presente nella concretezza dei segni sacramentali, potremmo davvero rischiare di essere impermeabili all’oceano di grazia che inonda ogni celebrazione. (...) L’incontro con Dio non è frutto di una individuale ricerca interiore di Lui ma è un evento donato: possiamo incontrare Dio per il fatto nuovo dell’incarnazione che nell’ultima Cena arriva fino all’estremo di desiderare di essere mangiato da noi” (DD n. 24).

Quando diventiamo capaci di stupirci per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, la nostra esistenza riceve

“un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. (…) la testimonianza fino al dono di se stessi, fino al martirio, è sempre stata considerata nella storia della Chiesa il culmine del nuovo culto spirituale: «Offrite i vostri corpi» (Rm 12,1). Si pensi, ad esempio, al racconto del martirio di san Policarpo di Smirne, discepolo di san Giovanni: tutta la drammatica vicenda è descritta come liturgia, anzi come un divenire Eucaristia del martire stesso. Pensiamo anche alla coscienza eucaristica che Ignazio di Antiochia esprime in vista del suo martirio: egli si considera «frumento di Dio» e desidera di diventare nel martirio «pane puro di Cristo». Il cristiano che offre la sua vita nel martirio entra nella piena comunione con la Pasqua di Gesù Cristo e così diviene egli stesso con Lui Eucaristia” (SCa n. 85).

È la celebrazione dell’Eucaristia che ci fa entrare nella logica del dono che struttura tutta la vita umana[34]. “L’Eucaristia non ci dà un modello di vita da imitare. Essa fa sì che l’uomo eucaristico si realizzi in noi. Trattandosi di diventare ciò che già siamo in Cristo, la celebrazione dell’Eucaristia diventa essenziale per la nostra vita cristiana, perché in essa sperimentiamo la nostra identità più profonda, definita dall’attitudine a ricevere la vita stessa di Dio e a diventare vivi secondo l’unico modo buono, quello di donarsi per amore”[35].

Il “Corpo eucaristizzato” è prima di tutto un corpo donato, e ne consegue che anche il nostro corpo, nutrito dal Corpo di Cristo, deve donarsi[36]. Gesù ci fa segno “nel” pane e nel vino, e anche “attraverso” questo pane e questo vino. Il pane è il corpo donato, il vino è il sangue versato, la vita donata. Nell’Eucaristia Cristo è presente come Colui che dà il suo Corpo e versa il suo Sangue, nella sua Pasqua, che è il dono della sua vita.

Attraverso questo pane Gesù ci invita a diventare una cosa sola con lui, a entrare con lui nel suo progetto alla vigilia della sua Passione, la notte in cui fu consegnato, e a entrare in comunione tra di noi attraverso la nostra partecipazione a questo progetto di dare la nostra vita.

L’Eucaristia ci invita a partecipare più profondamente al mistero pasquale, a offrire tutta la nostra vita al Padre con Cristo nello Spirito Santo.

b) L’Eucaristia ci insegna a fare di noi stessi un dono per gli altri

La consapevolezza che in Gesù Cristo, Dio stesso ha dato se stesso per noi fino alla morte, deve portarci a vivere non più per noi stessi, ma per Lui e con Lui per gli altri[37].

“In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16). Noi cristiani abbiamo riconosciuto l’amore di Gesù Cristo per noi attraverso la sua esistenza, il suo modo di agire, parlare e relazionarsi con le persone che ha incontrato, soprattutto perché, nel mistero pasquale, ha dato la sua vita per noi. Il nostro amore fino al dono della vita per i nostri fratelli è radicato nell’esempio e nella grazia di Gesù Cristo.

In questo versetto della prima lettera di San Giovanni abbiamo queste corrispondenze: “lui/noi”, “ha dato/dobbiamo dare”, “per noi/per i nostri fratelli”. Cristo si dona a noi perché anche noi, uniti a lui, possiamo donarci ai nostri fratelli[38]. Il dono chiama il dono, la totalità chiama la totalità. “La vita è un dono che si riceve donandosi”[39].

Abbiamo detto che il dono di sé è al vertice del cammino di maturazione umana e spirituale; pertanto, vivere secondo l’Eucaristia è l’unico modo per vivere e realizzare la nostra esistenza umana[40].

Il “memoriale”, costantemente rinnovato e approfondito del dono di Dio, fa emergere la possibilità del dono di sé come la risposta più adeguata. Chi beneficia del dono è spinto a sua volta a rischiare se stesso e a donarsi.

L’Eucaristia è il sacramento che porta all’unione, alla trasformazione in Cristo, all’inabitazione reciproca che fa di tutta la vita una vita eucaristica (cfr. Gv 6,56-57).

L’Eucaristia celebrata rende presente colui che deve essere imitato; in essa Cristo è presente nella sua offerta a Dio e agli uomini, nel suo atteggiamento di umiltà, servizio, dedizione e amore. Il dono di sé porta ad appartenere totalmente a Cristo per vivere secondo il suo stile di vita, a riferire tutta la propria vita a Gesù Cristo per essere nel mondo come lui.

“Per progredire nelle virtù, scriveva San Pier Giuliano Eymard, il cristiano ha bisogno di avere sempre presente il suo modello, una forza sempre più grande, un amore che lo sostenga. Ora, è solo nella Santissima Eucaristia che egli può trovare perfettamente questi tre beni”. E aggiunge “In questo modo il cristiano impara a donarsi attraverso la Santa Comunione, dove Gesù si dona interamente e personalmente a lui”[41].

Cristo nella sua Eucaristia ci insegna a dire “sì” alla croce; ci insegna che questa morte è una morte vissuta nell’amore e nella donazione, e per questo diventa una morte che porta la vita[42]. L’Eucaristia distrugge il nostro egoismo e libera la nostra capacità di amare, un amore più forte della morte (cfr. Ct 8,6).

Divenuto membro del Corpo di Cristo attraverso il battesimo, il cristiano impara, attraverso l’Eucaristia, a vivere la vita come un dono. Egli vive secondo la logica di una vita eucaristica, cioè di una vita donata. Donare il proprio tempo e le proprie energie. Compiere gesti di generosità, di servizio, a volte in silenzio. Donare significa morire a se stessi e vivere solo per gli altri, fino a dare la vita[43]. L’obiettivo è vivere una vita sempre più identica a quella di Gesù: una vita donata per il mondo [44].

“L’Eucaristia ci chiama a spogliarci di noi stessi, a donarci. Non esiste un’Eucaristia autenticamente degna di Cristo senza un impegno alla condivisione, al perdono e alla riconciliazione. Il ‘sacramento del sacrificio’, che attualizza in noi il dono di Cristo, rivela così l’uomo a se stesso: la nostra vocazione ultima, che resiste a tutto ciò che può distruggerci o dividerci, non è conquistare e dominare, ma ricevere e donarsi, imparare, giorno per giorno, a condurre un’esistenza eucaristica. Tutto ciò che viviamo nell’amore dato e ricevuto, anche le ferite causate dalla violenza del mondo, tutto può essere ricapitolato dal Cristo dell’Eucaristia”[45].

Si tratta allora, per colui che è diventato membro di Cristo, Corpo di Cristo, di diventare una “vita donata” sotto tutti gli aspetti, le forme e le espressioni dell’amore vissuto da Cristo.

Il dono di sé è qualcosa di più del semplice dare. Non si tratta solo di dare qualcosa, ma di dare se stessi[46]. In altri termini, non si tratta di dare ciò che si ha, ma ciò che si è: “la vera ricchezza, ha detto il Papa San Giovanni Paolo II, non consiste nell’avere qualcosa e nemmeno nel dare qualcosa, ma nella capacità di donare se stessi”[47].

“Le nostre comunità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi «pane spezzato» per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: «Date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,16). Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (SCa n. 88).

Papa Francesco ha sottolineato la forza del donarsi agli altri, che viene proprio dall’Eucaristia:

“Quante mamme, quanti papà, insieme con il pane quotidiano, tagliato sulla mensa di casa, hanno spezzato il loro cuore per far crescere i figli, e farli crescere bene! Quanti cristiani, come cittadini responsabili, hanno spezzato la propria vita per difendere la dignità di tutti, specialmente dei più poveri, emarginati e discriminati! Dove trovano la forza per fare tutto questo? Proprio nell’Eucaristia: nella potenza d’amore del Signore risorto, che anche oggi spezza il pane per noi e ripete: «Fate questo in memoria di me»”[48].

“Di fronte al male, alla sofferenza, al peccato, l’unica risposta possibile per il discepolo di Gesù è il dono di sé, anche della vita, a imitazione di Cristo”[49].

Donarsi, allora, significa anche accettare di perdersi, attraverso un dono generoso, in un amore gratuito e oblativo[50]. Donarsi sinceramente significa offrirsi senza aspettarsi alcuna ricompensa, in altre parole, senza alcuna condizione o limite e per sempre.

Donare se stessi significa vedere l’altro come un essere umano e impegnarsi a costruire la famiglia umana[51]; il dono di sé è anche la base del perdono e del rifiuto dell’odio e dell’ingiustizia[52].

Il dono di sé non trova il suo fine in se stesso, ma nella comunione[53]; infatti, il fine del dono è la comunione e l’amicizia con Dio, e la comunione con gli uomini.

Solo la comunione concretizza questo desiderio, nel dono reciproco. Il modello per eccellenza del dono di sé è la vita intra-trinitaria, la comunione tra le Persone divine, dove dare e ricevere sono totali senza introdurre disuguaglianze, il che costituisce il mistero più profondo.

L’uomo è fatto per dare, ma ancora di più per la comunione. Se la comunione è il punto di arrivo, il modo per arrivarci è il dono sincero di se stessi; è qui che nasce la relazione di comunione. “La comunione ha sempre ed inseparabilmente una connotazione verticale ed una orizzontale: comunione con Dio e comunione con i fratelli e le sorelle. Le due dimensioni si incontrano misteriosamente nel dono eucaristico” (SCa n. 76)[54].

 

Conclusione

L’Eucaristia produce in noi una trasformazione molto profonda. È la vita di Cristo, una vita donata, che risplende in noi. Padre Eymard ha detto:

“Un cristallo, mettetelo nella notte, è una pietra, esponetelo ad una piccola luce, diventa trasparente, esponetelo al sole, non possiamo più guardarlo, è come il sole, ecco Nostro Signore, sorge, sale, quando è a mezzogiorno l’anima diventa trasparente nel vero amore. A poco a poco, per gradi, Nostro Signore abita allora in noi, ma per potersi donare, deve donarsi secondo la nostra corrispondenza, per gradi, come il minerale per liberarsi, per purificarsi, ogni grado toglie una lega. Quanto più profondamente entriamo in Nostro Signore, tanto più diventiamo santi, (...) la santità degli eletti si raggiunge solo quando essi sono trasparenti, quando Gesù è nel loro cuore, e quando non sembrano più altro che delle apparenze. Gesù Cristo è in noi, non dobbiamo sminuirlo, dobbiamo metterlo in atto”[55].

 

[1] Benedetto XVI, Omelia della Cena del Signore, 20 marzo 2008. Nell’esortazione apostolica, frutto del sinodo sull’Eucaristia, Papa Benedetto XVI ha scritto: “La prima realtà della fede eucaristica è il mistero stesso di Dio, amore trinitario. Nel dialogo di Gesù con Nicodemo, troviamo un’espressione illuminante a questo proposito: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,16-17). Queste parole mostrano la radice ultima del dono di Dio”, Sacramentum Caritatis (SCa) 7.

[2] Cfr. San Pier Giuliano Eymard, Œuvres Complètes, ed. Centro Eucaristico – Nouvelle Cité 2008, PO 30,7.

[3] Alain Mattheeuws, Le « don de soi » ouvre la porte du cœur aux époux, in NRT 142 (2020), p. 45.

[4] Nel Nuovo Testamento abbiamo 377 volte il verbo “donare” (in greco “didomi”).

[5] San Pier Giuliano Eymard ha scritto: “Dio ha amato l’uomo e gli ha dato tutto ciò che ha e tutto ciò che è: il Padre ha dato il proprio Figlio, il Figlio ha dato se stesso e lo Spirito santo è divenuto il nostro santificatore”, Œuvres Complètes, NR 44,102. Papa Francesco ha scritto: “Nel dono c’è il riflesso dell’amore di Dio, che culmina nell’incarnazione del Figlio Gesù e nella effusione dello Spirito Santo”, Messaggio per la giornata mondiale del malato 2019.

[6] Jean-Luc Marion (1946 – vivo), filosofo e storico francese, ha parlato dell’effetto a cascata: “Il dono si riceve solo per essere dato di nuovo (...) Il dono può essere ricevuto solo se viene dato, altrimenti cesserebbe di meritare questo nome”, J.-L. Marion, L’idole et la distance, ed. Grasset et Fasquelle 1977.

[7] “I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo. Rispose loro Gesù: In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”, Gv 6,31-33.

[8] All’inizio del suo vangelo, nel prologo, S. Giovanni aveva scritto: “E il Verbo si fece carne”, Gv 1,14.

[9] Nei 26 versetti di questo capitolo, il verbo “donare” si trova al meno 17 volte.

[10] San Pier Giuliano Eymard: “Ed ecco l’ultima azione di nostro Signore. Si era donato e non poteva fare nulla di più, non apparteneva più a se stesso, ma a noi”, 9 aprile 1868, Œuvres Complètes, PP 56,3.

[11] Etienne Grieu, Pertinence sociale et politique de l’Eucharistie, in Etudes, novembre 2012 – n. 4175, p. 499.

[12] La Chiesa non vuole dimenticare questo contesto e ha ripreso questo passo di San Paolo nella Preghiera Eucaristica III.

[13] Possiamo collegare il verbo “consegnare” con il verbo “dare”, quasi come dei sinonimi. La prospettiva del dono, che troviamo nell’“exinanivit” di S. Paolo, è espressa nella celebrazione eucaristica con i participi “dato” e “versato”, relativi al corpo e al sangue, cfr. Frédérique Poulet, Célébrer l’Eucharistie après Auschwitz, ed. Cerf, Paris 2015, p. 309.

[14] “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. Esse ci mostrano anche l’intima compassione che Egli ha per ogni persona. (…) Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo (…) nelle persone che avvicino, fratelli e sorelle per i quali il Signore ha dato la sua vita amandoli ‘fino alla fine’ (Gv 13,1)”, SCa 88.

[15] Il Figlio di Dio, scrive S. Paolo, “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). “Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2).

[16] “Sacramento della carità, la Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l’amore «più grande», quello che spinge a «dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Gesù, infatti, «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con questa espressione, l’Evangelista introduce il gesto di infinita umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi, Egli lava i piedi ai suoi discepoli. Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci «fino alla fine», fino al dono del suo corpo e del suo sangue”, SCa n. 1.

[17] Cfr. Etienne Grieu, Pertinence sociale et politique de l’Eucharistie, in Études, novembre 2012 – n. 4175, p. 500-508.

[18] Romano Guardini, Jésus-Christ, éd. Guadarrama, Madrid 1960, p. 123.

[19] San Pier Giuliano Eymard, Œuvres Complètes, PG 279,3.

[20] San Pier Giuliano Eymard, Œuvres Complètes, PO 7,15.

[21] “Ubi donator venit in donum et datum est idem penitus cum datore”, Papa Urbano IV, Costituzione apostolica “Transiturus” (1264). “La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza”, Ecclesia de Eucharistia n. 11.

[22] Gesù non considera se le persone a cui si dona sono degne o no, quale sia la loro situazione morale o la loro capacità intellettuale e di comprensione. Il suo atto d’amore è libero, non si aspetta nulla in cambio. “Gesù Cristo (...) nel dono eucaristico ci comunica la stessa vita divina. Si tratta di un dono assolutamente gratuito”, SCa n. 8.

[23] Gesù non ha dato i suoi pensieri, ma il suo essere, se stesso. Ciò che Gesù ci dona, nel pane e nel vino, è la sua esistenza concreta.

[24] Nell’Eucaristia, Gesù è pienamente presente, con tutto il suo amore e tutta la sua vita, per tutti gli uomini, interamente per ciascuno e ciascuna. Fa il dono di sé stesso fino in fondo, fino all’abbandono.

[25] Nell’Eucaristia abbiamo la vita di Dio, la vita della Trinità, che ci prende totalmente e ci porta nella vita nuova oltre la morte. “Nel pane e nel vino, sotto le cui apparenze Cristo si dona a noi nella cena pasquale (cfr. Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-26), è l’intera vita divina che ci raggiunge e si partecipa a noi nella forma del Sacramento”, SCa n. 8.

[26] Nell’Eucaristia, Gesù diventa pane per entrare in tutti, per ‘diventare uno’ con tutti. Il dono dell’Eucaristia è accessibile a tutti, e tutti possono imparare a dare e ricevere, a donare e accogliere. L’Eucaristia, che ci fa diventare “un solo corpo” (cfr. 1Cor 10,16-17; Ef 4,15-16), si presenta come un dinamismo profondo di amore reciproco, di comunione intima e profonda, di unità in una “multiforme armonia che attrae”, Evangelii Gaudium, 117.

[27] “L’uomo, creato ad immagine di Dio e per la comunione con Lui, «non può pienamente ritrovarsi se non attraverso il dono sincero di sé” (Gaudium et Spes, 24). Lo sviluppo della sua persona passa attraverso questo dono di se stesso che significa apertura all’altro, accoglienza e rispetto della vita”, L’Eucaristia dono di Dio per la vita del mondo, Documento teologico di base per il Congresso eucaristico internazionale di Québec giugno 2008. Il dono è stato un concetto centrale del pensiero di Giovanni Paolo II, cfr. Pascal Ide, Une théologie du don. Les occurrences de Gaudium et spes, n. 24 § 3 chez Jean Paul II, in Anthropotes, 17/1 (2001), p. 149-178. Papa Francesco ha ripreso questa idea nella sua enciclica Fratelli tutti: “Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri”, FT 87.

[28] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 34.

[29] Documento finale della XV Assemblea Generale Ordinaria su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, 2018, n. 76.

[30] Il Papa S. Giovanni Paolo II ha scritto: “la libertà si realizza nell’amore, cioè nel dono di sé”, Veritatis Splendor, n. 87.

[31] Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor n. 87.

[32] Il dono di sé è amore nel senso pieno del termine. Amare veramente è donarsi. La nostra libertà si realizza nell’amore, cioè nel dono di sé.

[33] Papa Francesco, Desiderio Desideravi, lettera apostolica, 29 giugno 2022.

[34] Cfr. Vie reçue, vie donnée. L’offrande eucharistique, Service National de la Pastorale Liturgique et Sacramentelle, Mame, Paris 2019, p. 41.

[35] Ibid. p. 19.

[36] Cfr. Emmanuel Falque, Les Noces de l’Agneau, éditions du Cerf, Paris 2011, p. 227.

[37] Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 33.

[38] Cfr. Giuseppe Crocetti, Dare la vita per i fratelli, in Il Cenacolo, agosto-settembre 2022, n. 6, p. 25-26.

[39] Papa Francesco, Omelia della domenica delle palme, 5 aprile 2020.

[40] “‘Darsi’ significa lasciare agire in sé stessi tutta la potenza dell’amore che è lo Spirito di Dio e in tal modo aprirsi alla sua forza creatrice. E darsi anche nei momenti più difficili, come in quel Giovedì Santo di Gesù in cui Lui sapeva come si tessevano i tradimenti e gli intrighi, ma si donò, si donò, si donò a noi con il suo progetto di salvezza. L’uomo donandosi si incontra nuovamente con sé stesso, con la sua vera identità di figlio di Dio, somigliante al Padre e, in comunione con Lui, datore di vita, fratello di Gesù, del quale rende testimonianza”, Papa Francesco, Omelia della messa, a Quito (Ecuador), 7 luglio 2015.

[41] San Pier Giuliano Eymard, Œuvres Complètes, RA 17,14.

[42] “È il movimento che passa attraverso il SÌ della croce, cioè attraverso l’obbedienza e il rinnegamento totali... Dobbiamo partecipare con lui a questa storia di fedeltà, di Amore dato e ricevuto, accettando di partecipare al suo ‘sacrificio’, cioè all’atto con cui si espone liberamente alla morte confidando totalmente nel sostegno del Padre... Solo lo Spirito Santo è capace di far diventare la nostra relazione con Cristo questa relazione interiore, di configurarci al Cristo”, Claude Dagens, Le sacrement du sacrifice, in Christus n. 242, p. 159.

[43] L’esempio più chiaro è il gesto di Gesù durante l’Ultima Cena, quando ha lavato i piedi ai suoi discepoli (cfr. Gv 13,1-15).

[44] L’Eucaristia ci fa entrare nel dinamismo del mistero pasquale nella sua totalità. Per questo è impossibile celebrare l’Eucaristia nella verità senza accettare liberamente e volontariamente di vivere nella nostra vita quotidiana il contenuto della morte di Cristo per tutti gli uomini. Quando facciamo la comunione, entriamo in comunione con il mistero del suo svuotamento di sé, del suo annientamento, con il quale è diventato uno di noi, il nostro schiavo, fino a lavarci i piedi e a dare la sua vita su una croce per noi (cfr. Fil 2,6-9). “La dimensione kénotica è costitutiva dell’istituzione dell’Eucaristia”, Frédérique Poulet, Célébrer l’Eucharistie après Auschwitz, p. 177.

[45] Claude Dagens, Le sacrement du sacrifice, dans Christus n. 242, p. 164.

[46] “Il dono di sé è quello che stabilisce la relazione interpersonale che non si genera dando “cose”, ma dando sé stessi. In qualsiasi donazione si offre la propria persona”, Papa Francesco, Omelia della messa, a Quito (Ecuador), 7 luglio 2015.

[47] Giovanni Paolo II, Discorso alle religiose, Cattedrale de Nuestra Señora, La Paz, 10-5-1988, n. 7.

[48] Papa Francesco, Omelia del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 26 maggio 2016.

[49] Papa Francesco, Discorso alla via crucis con i giovani, in occasione della XXXI Gionata Mondiale della Gioventù, Polonia, 29 luglio 2016.

[50] San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, scriveva: “Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1Cor 13,3).

[51] “L’amore di amicizia si chiama «carità» quando si coglie e si apprezza «l’alto valore» che ha l’altro. La bellezza – «l’alto valore» dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche – ci permette di gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosa necessità di possederla. (...) L’amore per l’altro implica tale gusto di contemplare e apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, che esiste al di là dei miei bisogni. Questo mi permette di ricercare il suo bene anche quando so che non può essere mio o quando è diventato fisicamente sgradevole, aggressivo o fastidioso. Perciò, «dall’amore per cui a uno è gradita un’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratis»”, Papa Francesco, Amoris Laetitia, n. 127.

[52] “Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi al dialogo e all’impegno per la giustizia”, SCa 89.

[53] “La libertà è insieme inalienabile autopossesso e apertura universale ad ogni esistente, nell’uscita da sé verso la conoscenza e l’amore dell’altro. La libertà si radica dunque nella verità dell’uomo ed è finalizzata alla comunione”, Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 86.

[54] “Dove si distrugge la comunione con Dio, che è comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, si distrugge anche la radice e la sorgente della comunione fra di noi. E dove non viene vissuta la comunione fra di noi, anche la comunione con il Dio Trinitario non è viva e vera”, Benedetto XVI, Udienza generale, 29 marzo 2006.

[55] San Pier Giuliano Eymard, Œuvres Complètes, PS 211,6.

 

 

Ultima modifica il Lunedì, 29 Maggio 2023 08:18