Il 5 e 6 dicembre scorso si è svolto un incontro sull’internazionalità, su iniziativa del nostro Vicario generale, p. Anaclet Bambala, in riferimento al desiderio del 36° Capitolo Generale di concretizzare l’internazionalità nella nostra Congregazione. A seguito di questo incontro, p. Anicet Kapita condivide con noi le sue riflessioni. |
Introduzione
L’internazionalità è un tema di attualità per molte organizzazioni sociali e religiose. È oggetto di studio, riflessione e rinnovamento nel cuore dell’umanità. Le famiglie religiose non restano ai margini di questa problematica.
La Congregazione del SS. Sacramento, nel suo messaggio finale del 36° Capitolo Generale, afferma: «L’internazionalità permette a tutti i membri della Congregazione di apprezzare le opportunità, le difficoltà e le sfide che affrontiamo come realtà condivisa all’interno della famiglia carismatica. L’internazionalità arricchisce l’esperienza, la conoscenza e la diversità... Poiché l’internazionalità incoraggia e promuove l’unità all’interno della Congregazione, riaffer-miamo che l’Eucaristia è un vero sacramento di unità, che permette la fraternità tra le persone e la comunione tra i fratelli (RV n. 8). Vivere e impegnarsi nel cammino dell’internazionalità come Congregazione, con l’Eucaristia al centro della nostra vita, significa affermare con forza che vivere dell’Eucaristia significa denunciare la divisione, la dispersione e l’opposizione, e promuovere l’amicizia, la comunione e l’unità. L’internazionalità ci spinge a dilatare lo spazio della nostra tenda (cfr. Is 54,2), nello spirito di una “Chiesa in cammino” secondo Papa Francesco».
Da qu esto punto di vista, l’internazio-nalità è di primaria importanza e, alla luce del “Dono di sé” del nostro Fondatore, diventa un “leitmotiv” per la nostra famiglia religiosa e uno strumento efficace per la nostra missione.
Che cos’è l’internazionalità?
Al termine del 36° Capitolo Generale, in occasione della celebrazione del 40° anniversario della nostra eredità carismatica (Regola di Vita), con la celebrazione del Sinodo e dell’Anno Giubilare, è opportuno per noi religiosi del SS. Sacramento ridefinire questo concetto alla luce del nostro Fondatore Apostolo dell’Eucaristia.
Non possiamo dare una definizione apodittica del concetto perché non è astratto ma reale. In altre parole, l’internazionalità non è teorica ma pratica. È vissuta. L’internazionalità si riferisce alla dimensione più ampia e olistica che coinvolge diverse nazioni e culture in un determinato contesto. Il termine sottolinea quindi la natura globale o transnazionale di una situazione. Riferendosi a questo tema durante un incontro, p. Fiorenzo Salvi, ex Superiore generale, ha osservato che l’internazionalità si definisce nella vita e nella realtà attuale della Congregazione e che essa è il luogo ideale per rispondere ai nostri interrogativi a partire dall’Eucaristia.
La definizione di internazionalità non è la stessa per tutti. Tuttavia, le nostre riflessioni contribuiscono alla costruzione di una visione comune di questo concetto, con l’obiettivo di approfondirlo per rispondere al nostro carisma oggi.
Il concetto di internazionalità nella vita del Fondatore
Alla luce del percorso del Fondatore, crediamo che egli avesse il desiderio di vivere a livello internazionale. La dimensione internazionale di P. Eymard è prefigurata dalla missione che ci ha affidato di incendiare il mondo con la fiamma eucaristica. In questo modo, potremmo dire che San Pier Giuliano Eymard stesso ha voluto vivere l’internazionalità con questa idea: che la vostra Comunità si rafforzi, cresca e porti il fuoco divino ai quattro angoli del mondo (PR 107,3).
Le diverse sfide dell’internazionalità
In questo contesto, esploreremo alcune delle sfide specifiche dell’internazionalità all’interno di una comunità. Sebbene queste riflessioni non pretendano di coprire tutte le situazioni o di essere unanimi, mirano a identificare i modi per superare questi ostacoli e promuovere una comunità fraterna.
a) Vivere la vera fraternità e sentirsi fratello tra fratelli
Questa sfida riecheggia la visione di San Pier Giuliano Eymard su come i suoi religiosi erano chiamati a vivere il mistero del Cenacolo. Per lui, il Cenacolo non era solo un luogo storico o simbolico, ma uno stile di vita da incarnare nella vita quotidiana. Questa visione si basa su una comprensione profonda e archetipica della comunità come famiglia spirituale. Il Cenacolo diventa così l’ambiente in cui tutti sono chiamati a vivere i valori eucaristici: accoglienza, fiducia reciproca, senso di appartenenza, sicurezza affettiva e spirituale. Queste dimensioni sono tutte espressioni concrete di questo amore che trascende le differenze per riflettere la comunione.
Secondo la Regola di Vita (RV nn. 6 e 7), questa dinamica comunitaria mira a stabilire una attenzione sincera e reciproca tra tutti i membri, basata su un rapporto di amore evangelico e di servizio disinteressato. La vita del Cenacolo, come intesa da Eymard, non si limita a una convivenza armoniosa, ma invita ogni membro a contribuire attivamente alla costruzione di una comunità radicata nell’Eucaristia.
b) La sfida della ‘culturalità’
Nessuna cultura è superiore a un’altra. La cultura è un valore da preservare, trasmettere e insegnare. Nel processo di internazionalità, il valore culturale assimilato da un modo di vivere insieme, che molto spesso in termini di forma, prende la maggior parte delle sue pratiche dalla cultura dell’ambiente. Questi elementi pratici possono essere la lingua, il cibo, ecc. L’arricchimento di questa cultura locale con le pratiche delle diverse identità risponderebbe all’esortazione di San Paolo ai Galati (Gal 3,28ss).
c) Condivisione dei pasti comunitari: un simbolo di unità.
Nelle comunità internazionali, le tensioni sul cibo, spesso radicate nelle differenze culturali o religiose, possono sorgere ed essere fonte di divisione. La domanda da esplorare in questa sfida è: in una comunità internazionale, quale cibo potrebbe essere adatto e accettato all’unanimità da tutti i membri, promuovendo così l’armonia comunitaria? Di fronte a queste sfide, un approccio collettivo e spirituale, ispirato al Concilio di Gerusalemme, può aiutare a superarle: “Noi e lo Spirito Santo abbiamo deciso di non imporvi altri pesi se non questi indispensabili...” (At 15,28-29).
Infatti, nella spiritualità del Cenacolo, il cibo, come la comunione eucaristica, è un legame di armonia tra i membri. È un modello di sinodalità che permette di risolvere le tensioni nell’umiltà e nella fraternità attraverso il dialogo: “Ogni giorno, con cuore unito, frequentavano assiduamente il Tempio; spezzavano il pane nelle loro case, prendendo il cibo con gioia e semplicità di cuore” (At 2,46-47).
d) La sfida di riferimento
Nel nostro caso specifico, le comunità definite internazionali riuniscono membri inviati da diverse Province e sono poste sotto la responsabilità della Conferenza geografica o della Curia generale. Nella pratica, però, questo solleva problemi concreti di riferimento. In questo tipo di casi, l’uno o l’altro membro può rifiutare l’obbedienza al Superiore locale perché fa riferimento direttamente al suo Superiore maggiore di origine. Credo che sarebbe preferibile definire chiaramente la questione del riferimento per evitare la ‘bicefalia’, che spesso genera tensioni e rende difficile l’esercizio delle competenze del Superiore locale.
Conclusione
L’internazionalità è una realtà complessa. Tuttavia, è meglio compresa nel contesto del proprio patrimonio spirituale (Carisma). I religiosi del SS. Sacramento vivono l’esperienza dell’internazionalità nella loro appartenenza religiosa alla Famiglia Eymardiana che li accoglie.
Sono due i tipi di esperienza internazionale che la nostra famiglia affronta: l’internazionalità ad extra e l’internazionalità ad intra. I due temi ci riportano al concetto del “binomio discepolo-apostolo”. Il primo si riferisce all’esperienza di internazionalità nell’incontro con altre culture, il secondo al modo in cui viviamo questa esperienza con gli altri che vengono da noi.
Insomma, l’internazionalità tra i sacramentini è un dono e un’opportunità per accendere il fuoco eucaristico nel mondo, come desiderava il nostro santo Fondatore. Richiede da parte nostra una grande apertura, che è l’accettazione degli altri. La vera fraternità consiste nel vivere la comunione e l’unità come figli e figlie della stessa famiglia, condividendo lo stesso progetto di vita. La nostra famiglia religiosa ha tutto l’interesse a prendere coscienza di questa realtà di internazionalità a tutti i livelli della vita. Siamo tutti invitati a prepararci ed educarci all’internazionalità.
12 dicembre 2024
Padre Anicet Kapita, sss
Superiore della
Comunità dei Martiri Canadesi, Roma