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Giovedì, 23 Aprile 2020 10:39

La comunità della Casa Generalizia nel tempo del coronavirus

Una premessa. Da quando, nell'estate 2015, è stata chiusa la comunità della Provincia “Madonna del SS. Sacramento”, i religiosi al servizio della parrocchia dei Martiri Canadesi (attualmente i pp. Maurizio, Flavio, Eugenio Astori) fanno parte della comunità della Casa Generalizia. Oltre a loro, essa comprende: p. Eugenio Barbosa, superiore generale e della comunità; i pp. Binh, Agostinho, Philip, consultori generali; i pp. Carlo Vassalli, Vittore, Justin, Phuoc. Dal mese di settembre è con noi p. Yves, superiore provinciale del Senegal, che sta ultimando la sua tesi di dottorato.

Le prime notizie sul coronavirus sono arrivate qui attorno al 20 febbraio, quando si cominciava a parlare della sua diffusione in Lombardia. C'era in noi una certa preoccupazione, pensando alle comunità sacramentine lì presenti, pensando anche alle famiglie d'origine di alcuni di noi; però, la cosa ci sembrava lontana e circoscritta soltanto a una parte dell'Italia. Così, pur con alcune precauzioni (come la sospensione dello scambio della pace e della comunione dei fedeli al calice), avevamo cominciato il cammino quaresimale il 26 febbraio, mercoledì delle ceneri.

Ma, dopo circa una settimana dall'inizio della Quaresima, il primo stop: la sospensione delle lezioni scolastiche, decisa dal Governo il 4 marzo, comportava anche nella nostra parrocchia dei Martiri Canadesi la sospensione di tutti gli incontri di catechesi. Restava soltanto l'attività sacramentale che, però, doveva svolgersi in ambienti spaziosi e ben areati, il che metteva fuori uso la cripta e i saloni, utilizzati principalmente dalle comunità del Cammino Neocatecumenale. Speravamo di poter continuare almeno con le Messe nella nostra grande chiesa; invece, pochi giorni dopo, con il decreto governativo di domenica 8 marzo, sono state sospese tutte le Messe con la presenza di fedeli. In breve tempo, la “normale” attività della parrocchia veniva a fermarsi del tutto (o quasi).

Come comunità religiosa, abbiamo deciso di utilizzare la cappella interna per le nostre celebrazioni e preghiere “a porte chiuse”: al mattino, la Messa alle ore 7 (la domenica alle ore 9) seguita dalle Lodi; alla sera, l'adorazione silenziosa a partire dalle ore 18.30, conclusa con i Vespri; il venerdì pomeriggio, la Via Crucis. Erano, all'incirca, gli stessi momenti di preghiera che si vivevano normalmente, con la differenza che fino ad ora venivano celebrati nella chiesa parrocchiale, condividendoli con i fedeli. Qui, invece, i fedeli non c'erano più, anche se li abbiamo sempre portati nelle nostre preghiere, ben sapendo che anch'essi facevano lo stesso per noi.

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Così, noi 11 religiosi della comunità (era assente p. Philip, di cui dirò dopo), ci siamo trovati tutti insieme ogni giorno in preghiera, al mattino e alla sera, e ci siamo accorti che, col passare dei giorni, cominciavamo a condividere uno stesso stile di preghiera, plasmato dalla Parola e dal Pane di vita. L'omelia alla Messa, le monizioni alle Lodi e ai Vespri erano rivolte a noi, in prima persona: ci era chiesto di verificarci alla luce della Parola proclamata; ci era chiesto di pregare in modo nuovo i salmi, dando voce a tutti coloro che stavano soffrendo a motivo della pandemia. Proprio i testi della Liturgia delle Ore ci hanno aiutato a guardare con fede a questa situazione difficile, nella certezza che anche il grido più disperato si può aprire al ringraziamento a quel Dio che è sempre presente, che ci è sempre vicino.

Oltre alla sospensione delle celebrazioni in chiesa, i decreti del Governo ci hanno obbligato a restare in casa, uscendo il meno possibile e solo per motivazioni valide. Così è stato, anche se l'ampiezza della casa, con tanto di cortile, giardino, terrazza, ci permetteva comunque di fare due passi e di stare un po' all'aria aperta, a differenza di tante famiglie - magari anche numerose - che vivono in piccoli appartamenti. Ma, non è stato tutto rose e fiori neanche per noi... Dalle prime notizie sul coronavirus, fin dalla sua apparizione in Cina, sembrava che il contagio fosse mortale, senza alcuna possibilità di guarigione. Inoltre, le notizie drammatiche che provenivano soprattutto dalla Lombardia, con un numero enorme di contagiati e di morti, sembravano confermare tutto questo, facendo nascere in diversi di noi una forte inquietudine e anche qualcosa di più, trovandoci del tutto indifesi davanti a un nemico invisibile.

Per questo motivo, al fine di evitare di restare troppo tempo nello stesso ambiente, si era sospesa la riunione comunitaria mensile che, in genere, si tiene nel refettorio subito dopo la cena. Ma la si è ricuperata pochi giorni dopo, il 17 marzo, perché ci si è resi conto che era bene dirsi ad alta voce come stavamo vivendo questa situazione; era bene dare voce anche alle nostre paure, alle nostre inquietudini e, insieme a questo, stabilire qualche norma di comportamento comune. Così è avvenuto, e ognuno ha comunicato ai fratelli il suo stato d'animo, chiedendo agli altri di aiutarlo a portare i propri pesi e rendendosi disponibile a fare lo stesso nei loro confronti.

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Nei giorni successivi, abbiamo condiviso anche i momenti di preghiera proposti dalla Chiesa italiana o da Papa Francesco: la sera della festa di S. Giuseppe, alle ore 21, abbiamo recitato il Rosario in cappella, in contemporanea con tutte le diocesi italiane; il giorno dell'Annunciazione, alle ore 12, abbiamo pregato il Padre Nostro e l'Angelus, insieme con il Papa; il 27 marzo, alle ore 18, ci siamo riuniti nella sala vicina al refettorio per seguire il “momento straordinario di preghiera” tenuto dal Papa in Piazza S. Pietro.

Siamo arrivati così al mese di aprile, che si è aperto con un'altra riunione comunitaria, in cui abbiamo programmato la Settimana Santa, che sarebbe stata celebrata anch'essa in cappella, senza la presenza dei fedeli. Accogliendo la proposta di p. Maurizio, abbiamo dato una impronta particolare ai primi tre giorni della Settimana, rispettivamente con una adorazione comunitaria il lunedì, una liturgia penitenziale il martedì, una catechesi sul Triduo Pasquale il mercoledì. Poi, la sera del giovedì santo siamo entrati nel Triduo Pasquale con la Messa nella Cena del Signore, presieduta dal p. Generale. A seguire, le altre celebrazioni previste dalla liturgia - in cui ci siamo alternati nella presidenza - per vivere la Pasqua del Signore Gesù crocifisso, sepolto e risorto.

Generalate celebration4Come accennavo sopra, tutto questo l'abbiamo vissuto senza la presenza di p. Philip, consultore e economo generale: si era recato in India il 23 febbraio per fare visita alla mamma che, qualche giorno prima, era stata colpita da un ictus. Purtroppo, però, il diffondersi della pandemia anche in India non gli ha più permesso di rientrare a Roma il 21 marzo e, ancora oggi, non si sa quando gli sarà possibile tornare. La mamma - che sembrava migliorata - è morta il 31 marzo, mentre p. Philip si trovava nella casa provinciale, a oltre mille chilometri da casa sua; però, con un permesso speciale, lui e il suo Provinciale hanno potuto fare il lungo viaggio per partecipare ai funerali.

Quanto alla nostra parrocchia dei Martiri Canadesi, l'unica attività possibile dal 9 marzo è quella di tenere la chiesa aperta per la preghiera personale dei fedeli; da parte loro, i tre sacerdoti della parrocchia assicurano ogni giorno un'ora di presenza, per esprimere anche in questo modo la vicinanza ai fedeli che vengono in chiesa.

Però, in tutto questo tempo, non ci si è limitati a lasciare aperta la chiesa, anzi. Fin dai primi giorni, si è cercato di farsi vicini ai fedeli attraverso i mezzi di comunicazione, inviando sussidi di diverso genere soprattutto per aiutare la preghiera e la riflessione in famiglia. Non è stato possibile celebrare la Messa in streaming o in diretta su Facebook, ma si sono invitati i parrocchiani a seguire alla televisione la Messa del Papa, che per noi è anzitutto il nostro vescovo. E, negli stessi orari delle sue celebrazioni del Triduo Pasquale, si è svolta anche la gran parte delle nostre celebrazioni.

Conclusa la Quaresima e la Settimana Santa, p. Maurizio ha chiesto alle famiglie - soprattutto a quelle con bambini, ragazzi, giovani - di fargli avere una testimonianza scritta e visiva di come hanno vissuto la Quaresima, il Triduo Pasquale e, in particolare, la Veglia Pasquale. Il tutto celebrato non più nella chiesa parrocchiale o negli ambienti della parrocchia, ma in quella che, storicamente, è stata la prima chiesa dei cristiani. Ossia: la casa, la famiglia che, in questo modo, ha potuto riscoprire la sua identità di “Chiesa domestica”, illuminata dalla Parola e sostenuta dalla comunione “spirituale” con Cristo e con tutti gli altri fratelli e sorelle nella fede.

 

di Padre Flavio Fumagalli, sss